PATOLOGIE TUMORALI
Nella letteratura specializzata i risultati del
digiuno nelle patologie tumorali sono assai controverse: è
necessario quindi procedere con cautela e stabilire alcuni punti
sufficientemente accertati e condivisi.
Neoplasie
benigne
Nelle forme tumorali benigne pressoché la totalità
degli autori
riconosce l’efficacia del digiuno, ascrivibile in
questa patologia soprattutto al fenomeno dell’autolisi: le cellule
delle neoformazioni subiscono un’azione assai simile a quello delle
cellule adipose o dei tessuti sovrabbondanti. Sappiamo che, secondo
la legge di Chossat, la perdita di sostanza da parte dei tessuti
avviene a digiuno in ordine inverso alla loro importanza
nell’economia generale dell’organismo: in un primo tempo le
cellule delle formazioni benigne subiscono una drastica diminuzione
degli apporti nutritivi e in un secondo tempo vengono utilizzate per
fornire sostanze nutritive ai tessuti vitali.
Tutte le forme tumorali benigne diminuiscono la loro
massa in seguito al digiuno e in modo particolare questo è stato
osservato sui noduli di natura benigna del seno, sulle cisti
ovariche, sui fibromi uterini, sulle formazioni polipoidi delle vie
respiratorie, dell’intestino, delle vie urinarie e dell’apparato
genitale, sui lipomi e le formazioni cistiche cutanee,
sull’ipertrofia prostatica.
Quando la formazione non è di grandi dimensioni,
se ne può ottenere la scomparsa con un solo digiuno, altrimenti, per
evitare digiuni eccessivamente prolungati, è necessari ripetere il
digiuno una o più volte.
In alcuni testi l’azione del digiuno è stata
paragonata a quella di un intervento chirurgico e questo, per alcuni
aspetti , può essere giustificato. Tuttavia è bene rendersi conto
delle differenze nei risultati e negli atteggiamenti richiesti: il
digiuno è un processo naturale i cui risultati non sono mai del
tutto prevedibili e quantificabili ed inoltre non lo si deve
considerare come un atto risolutivo in sé, che elimini il problema
una volta per tutte e definitivamente. Se questo atteggiamento è
spesso tutt’altro che giustificato anche in chi subisce un
intervento chirurgico, perché è sempre presente il rischio di
recidive, di effetti secondari, è bene che esso sia assente in chi
affronta col digiuno questa, e qualunque altra, patologia.
Non si deve dimenticare che nel corso il digiuno
non è la volontà umana a dirigere i processi riparativi e a
determinarne l’intensità, ma il corpo stesso, ed essi potrebbero
anche orientarsi in una direzione imprevista, della cui necessità
non si è neppure consapevoli.
Diciamo questo per far comprendere che il digiuno è
adatto solo a chi ha un orientamento salutista ed igienista, rifiuta
l’intervento perché lo ritiene una menomazione dell’integrità
del proprio corpo; è convinto degli effetti benefici del digiuno a
livello generale e lo intraprende in prima istanza per questo,
sapendo che le remissioni di una specifica patologia ne sono solo
effetti secondari che si succedono secondo le reali necessità
organiche e non secondo la volontà o le aspettative: pertanto non
sono programmabili e solo in parte prevedibili; é disposto ad
inserire il digiuno in una prospettiva di cambiamento, anche
radicale.
Viceversa sappia che il digiuno non fa per lui chi
pensa che il modello di vita seguito non abbia nulla a che fare con
le malattie.
Neoplasie
maligne
Numerosi autori sostengono che il digiuno è
indicato in caso di patologia neoplastica maligna, come Rudolf Breuss
che dà indicazioni precise per adattare il suo metodo alla leucemia
o ad altra forme neoplastiche; e non mancano in letteratura gli
scritti autobiografici che vogliono diffondere la personale
esperienza di guarigione in seguito al digiuno, come “Ho vinto il
mio cancro” di Mounique Couderc.
Una posizione sui
generis tiene a questo riguardo Shelton: egli
è del parere che, se la diagnosi di cancro è corretta, ogni
intervento sia inutile, tuttavia afferma d’avere ottenuto numerose
guarigioni in forme diagnosticate come maligna perché è assai alta
l’incidenza di errori comportata dalla diagnosi precoce di cancro.
Questa opinione di Shelton dovrebbe essere meditata, e rivelerebbe
risvolti impensati. Ad esempio, è evidente che una cosa è la
diagnosi tumorale fatta su chi ha una patologia cancerosa avanzata,
con metastasi e compromissione generale, ed un’altra cosa è la
diagnosi fatta valutando in uno striscio, in una biopsia, cellule
tumorali. Quest’ultima diagnosi( c’è qualcuno che ne può
dubitare?) è esposta ad errori di valutazione maggiori rispetto alla
prima: i dati da cogliere sono meno evidenti e più incerti. Inoltre
non si può non ammettere una tendenza alla guarigione spontanea
molto più alta, essendo la patologia all’inizio. Se chiunque di
noi dovesse ammalarsi di cancro non appena nel suo corpo si forma una
cellula cancerosa, nessuno potrebbe non ammalarsi: in ogni corpo
sano si formano infatti con una certa frequenza cellule degenerate
che vengono subito distrutte dai processi autolitici. Pertanto è
innegabile che la tanto decantata diagnosi precoce comporta un
aumento di interventi inutili( interventi che è eufemistico definire
“inutili” dato che sempre hanno profonde ripercussioni e incidono
su tutta la vita di chi li subisce, anche perché quasi sempre
seguiti da chemioterapia e/o radioterapia) quanto più è precoce.
Ma paradossalmente questi interventi “inutili” sono utilissimi ne
far lievitare le statistiche delle guarigioni: è evidente che quanto
più saranno i sani tra gli operati, tanto maggiore sarà il numero
dei guariti.
Noi siamo del parere che il digiuno periodico è una
valida arma di prevenzione e, quando il tumore è già insorto( dato
per scontato quanto detto a proposito dell’atteggiamento e direi
della “filosofia di vita” richiesta: rifiuto dell’intervento,
fiducia nei processi spontanei di guarigione ,ecc.) si possono avere
buoni risultati quando l’organismo ha conservato una sufficiente
vitalità ed integrità, grazie all’attivazione dell’ “autolisi
di difesa” ( Vedi: “Eufisiologia del digiuno”)
Quando la patologia è progredita e sono presenti
metastasi, le possibilità del digiuno sono, in linea di principio,
ridotte: l’integrità dell’organismo è seriamente compromessa, i
processi di guarigione possono essere poco efficienti.
Le cellule tumorali in forme avanzate possono
addirittura aver sovvertito il normale assetto e preso il
sopravvento: lungi dal risentire dei processi autolitici, potrebbero
esser loro a trarre nutrimento dai tessuti sani.
Tuttavia a riguardo le nostre esperienze, e quelle
dei digiunoterapeuti in genere, sono ridotte: si tratta infatti di
patologie gravi in cui ostacoli di vario genere si frappongono al
trattamento con modalità diverse da quelle dei criteri ufficiali:
mancano le strutture adeguatamente organizzate ed autorizzate.
Siamo convinti che qualora fosse possibile
sperimentare il digiuno su volontari con patologie non in metastasi,
i risultati sarebbero sorprendenti: ma questo è attualmente
praticamente impossibile.